Tratto dalla pubblicazione della dott.ssa Chiara giglio” GLI IRLANDESI A CASTELFIDARDO – Il Battaglione di San Patrizio”
Il Battaglione Irlandese di San Patrizio, si costituì con ordine del 12 giugno 1860 ed era formato da circa 1.040 uomini. In quel periodo Papa Pio IX temeva l’attacco ai confini del proprio stato da parte dell’Esercito Sardo e quindi aveva rivolto un appello ai volontari cattolici di tutta l’Europa, chiamandoli a combattere in difesa dello Stato Pontificio. Tra questi vi erano anche gli Irlandesi, che arrivarono a Roma i primi di Aprile del 1860. Inizialmente ricevettero una buona accoglienza da parte delle popolazioni locali, poiché erano considerati come di crociati venuti in Italia per difendere la causa pontificia, abbandonando il proprio paese e i loro mestieri.
Molti di loro, infatti, non erano soldati di professione, mentre altri militavano in eserciti stranieri e avevano lasciato le loro cariche ben remunerate e onorevoli per accorrere in difesa del mondo cattolico italiano. Per nessuno di loro fu facile ambientarsi durante il periodo di addestramento, poiché il clima caldo, la diversa alimentazione e le pessime condizioni di vita rappresentarono un grande ostacolo.
Gli Irlandesi vennero in un primo momento raccolti a Roma e poi organizzati in otto compagnie, che costituirono il battaglione di San Patrizio per tutta la durata del suo servizio in Italia. Quattro compagnie vennero subito inviate ad Ancona, dove vennero addestrate da un capitano di origine irlandese. Le altre quattro compagnie furono riunite a Spoleto, dove ricevettero il loro addestramento dal Maggiore William O’Reilly, guida dell’intero battaglione. Di queste ultime quattro, che parteciparono agli scontri tra l’Esercito Pontificio e quello Sardo nelle località di Spoleto, Perugia e Terni, solo la quarta compagnia combatté a Castelfidardo.
Vorrei sottolineare alcuni aspetti molto importanti della partecipazione irlandese in Italia. Per prima cosa il fatto che questo battaglione si costituì rapidamente e in maniera poco omogenea, in quanto raccoglieva persone di ogni tipo: medici, avvocati, soldati di professione e anche dei semplici contadini. Questa assoluta mancanza di coesione e di preparazione alla guerra rappresentò un limite per il maggiore O’Reilly, che aveva l’incarico di organizzare il battaglione e di addestrarlo a combattere. Un altro problema era rappresentato dallo scarso equipaggiamento dei volontari cattolici che, nonostante l’impegno del loro Comandante nel reperire armi e munizioni, non ricevettero neppure delle uniformi e affrontarono i combattimenti con delle armi di vecchia fattura. È da sottolineare, quindi, il coraggio degli Irlandesi che, malgrado le difficoltà affrontate, lottarono tenacemente in difesa della fortezza di Perugia e della città di Spoleto e offrirono un valido contributo anche nella Battaglia di Castelfidardo. Sono numerose, infatti, le testimonianze e i rapporti militari che narrano del loro coraggio e della loro determinazione nel fare il proprio dovere fino alla morte. Purtroppo il Battaglione di San Patrizio non riuscì mai a combattere unito, poiché le otto compagnie rimasero sempre divise nelle varie località umbre e marchigiane. La quarta compagnia irlandese fu l’unica che prese parte alla Battaglia di Castelfidardo. Era stata inquadrata con la Brigata Cropt dell’Esercito Pontificio, che alla vigilia della battaglia giunse sulle alture di Loreto.
In realtà la quarta compagnia irlandese non era al completo, vi erano solamente un centinaio di uomini, selezionati tra quelli che invece erano rimasti a Perugia o in difesa di Spoleto e delle altre roccaforti.
A Castelfidardo il loro intervento fu considerevole, non solo perché durante la battaglia gli Irlandesi furono incaricati di trasportare l’artiglieria al guado del fiume Musone. G.F.H.Barkeley, infatti, racconta nei suoi scritti il loro intervento a sostegno della colonna d’attacco del Generale de Pimodan, in un momento cruciale per le sorti dei due eserciti. Purtroppo sappiamo che l’esito della battaglia fu sfavorevole ai Pontifici che numerosi persero la vita a Castelfidardo.
Alcuni Irlandesi, nel momento in cui la battaglia era in fase conclusiva, riuscirono ad unirsi al Generale La Moricière, in una fuga disperata verso Ancona. Attraverso la fitta vegetazione del Monte Conero, riuscirono a raggiungere la città dorica dove le altre quattro compagnie irlandesi li attendevano con grande speranza. Ad Ancona rimasero fino al 29 settembre, nel periodo successivo alla battaglia di Castelfidardo e durante il lungo assedio a cui la città fu sottoposta per terra e per mare. Il Berkeley racconta alcuni episodi che testimoniano lo spirito degli Irlandesi che, nonostante non fossero stati incaricati di occuparsi delle armi, erano sempre pronti a ricaricare i cannoni e a difendere la città come meglio potevano. È doveroso, inoltre, affermare nuovamente che l’Esercito Pontificio si trovava molto svantaggiato dal punto di vista dell’equipaggiamento militare. I volontari cattolici, infatti, non possedevano armi idonee al combattimento, non avevano neppure delle giberne dove tenere le munizioni, ma nonostante questi limiti combatterono sempre coraggiosamente.
Arrivando alla conclusione di questo breve excursus sull’operato degli Irlandesi, vorrei raccontarvi una mia interessante scoperta. Qui a Castelfidardo, nel Museo della Battaglia, vi è una cartolina tratta da una fotografia che raffigura il capo tribù indiano Toro Seduto. Inizialmente può sembrare che questa foto non abbia alcun legame con il Battaglione di San Patrizio, ma in realtà non è così e ve ne spiegherò il motivo. I soldati irlandesi che combatterono in Italia, al termine della Campagna vennero aiutati a ritornare in patria grazie al contributo di un ricco dottore irlandese che risiedeva in provincia di Ancona. Dopo il rimpatrio, alcuni tra loro che avevano rivestito importanti cariche all’interno dell’esercito si arruolarono nella Guerra Civile Americana e tra questi vi era un soldato irlandese di nome Myles Walter Keogh (1840/1876). Sarà proprio lui a portare al di là dell’oceano la medaglia di cui era stato insignito dopo aver combattuto a Castelfidardo. Questa scoperta ha dunque svelato il mistero relativo alla cartolina raffigurante Toro Seduto, la cui copia originale si trova in un museo di Boston, poiché nessuno riusciva a spiegarsi come il capo indiano possedesse la medaglia di Castelfidardo.
Grazie alle informazioni che sono riuscita a raccogliere presso l’Università di Dublino e ai documenti che si trovano negli archivi storici italiani e francesi, ho reperito il nome di questo soldato e alcuni elementi della sua Storia. Keogh, combattendo nel VII Reggimento di Cavalleria del Generale Stoneman durante la Guerra Civile Americana, si era distinto in battaglia e alla sua morte il capo indiano Toro Seduto aveva prelevato la medaglia di Castelfidardo dal suo petto. Rimasto impressionato dal coraggio di questo soldato e considerando la medaglia come un amuleto magico, l’aveva tenuta per sé. Ecco perché fu poi ritrovata sulle sue spoglie mortali…

